Una nuova fase, finalmente.

Quella che si è aperta con il voto di fiducia potrebbe davvero essere una nuova fase per il Paese. Non dipenderà dal caso ma dal lavoro politico che saremo capaci di fare nelle prossime settimane e nei prossimi mesi. Enrico Letta ha fatto riferimento alla ricostruzione, alla fase attraversata dall'Italia nell'immediato dopoguerra. Il tema della ricostruzione è al centro del lavoro del PD sin dal novembre 2011. Due anni difficili tutti volti a mettere l’Italia prima di tutto, prima dell'interesse di parte o dei singoli. Credo sia un cammino da percorrere sino in fondo e che oggi ha raggiunto un primo importante punto di svolta.

Nell'immediato dopoguerra gli italiani, insieme, le forze politiche che li rappresentavano, seppero, nel rispetto di punti di vista diversi, essere uniti per far rinascere, ripartire questo Paese. Noi non usciamo da una guerra fisica, non ci sono stati bombardamenti ne città in macerie e non siamo stati invasi da eserciti stranieri, non abbiamo dovuto mettere in atto una resistenza armata. Tuttavia usciamo da una guerra sottoculturale, da un imbarbarimento che ha lasciato macerie dentro di noi, nelle nostre menti e nelle nostre anime. Siamo invasi di stereotipi e di modelli alienanti. È da questa guerra e da queste macerie che dobbiamo ripartire e ricostruire un modello di stare insieme, di avere relazioni civili, ricostruire la capacità di riconoscere parti dell'altro in noi, di riconoscere la differenza di accettarla come tale, di pensare che ci si possa convivere.

Questa è la vera grande scommessa della nuova fase. Sarà uno sforzo che gli schieramenti devono fare insieme. Non è la pacificazione che qualcuno evoca ma è una ricostruzione morale, una ricostruzione civile. Chi dice che si tratta della fine del bipolarismo pone un tema importante e sensato. Io la penso diversamente. Secondo me si tratta della possibile e auspicata fine di un bipolarismo muscolare fatto di insulti e minacce, fatto di denigrazione dell'avversario e di delegittimazione reciproca. Noi siamo stati soprattutto vittime di questo bipolarismo, perché il campo della destra in questo Paese negli ultimi vent'anni è stato rappresentato nella maniera peggiore che si potesse immaginare. Ma ne siamo anche stati in parte protagonisti e casua. Il vero cambiamento che insieme dobbiamo ancora dare a questo Paese è uscire dall'era dei populismi e provare a costruire un vero bipolarismo fatto di idee, fatto di confronto civile democratico, fatto di ipotesi diverse per governare l'Italia. Entrare in Europa e diventare come gli altri paesi europei, nei quali esiste il confronto che non è scontro di fazione, non è solo insulto. La vera sfida è quella di ridare dignità alla politica, e questo non lo può fare una parte da sola.

Certo queste sono opinioni e di questo bisognerebbe discutere magari anche nel congresso che si sta aprendo. Io la penso così e penso sia scorretto leggere in questo una deriva neocentrista, un modello che è superato anche in Europa. Il confronto classico tra la storica area popolare e quella socialdemocratica in Europa è cambiato da quando il Partito Popolare Europeo ha fatto la scelta di aggregare attorno a sè il campo conservatore e da tempo i popolari progressisti cristiano-sociali ne sono usciti iniziando un cammino differente. Ora si tratta di costruire davvero una forza democratica progressista europea che si confronti con le forze tradizionali e conservatrici e le elezioni europee potranno essere d'aiuto, potranno chiarire che esistono due visioni, due modelli economici, due modelli sociali e di coesione alternativi, ma non violentemente contrapposti.

La sfida di Enrico Letta e di questo Parlamento è quella di costruire una fase costituente in cui rimettere in sesto le regole del gioco, senza per questo mettere in discussione i principi della nostra costituzione, anzi inverandoli. Far si che le istituzioni funzionino davvero e che siano capaci di dare risposte  ai cittadini e quindi fiducia. Insieme alla crisi economica uscire dalla crisi della politica e dalla crisi morale e civile, e dare agli italiani al momento opportuno la possibilità di scegliere davvero tra opzioni di governo diverse,  di poter andare al voto sapendo che il giorno dopo c'è un governo per il Paese e che il tipo di governo che sceglieranno farà delle cose alternative rispetto all’altro, ma soprattutto risponderà, in maniera diversa ma efficace, ai loro bisogni. Si tratta di una sfida alta che impone l'impegno di una generazione. Io credo che noi siamo chiamati a questa sfida e che dobbiamo avere la forza, il coraggio di spiegarla, e nella relazione con le persone comprensibilmente sfiduciate, arrabbiate, deluse, con questa visione provare a fornire un pezzo di speranza.

In questo scenario occorrerà prestare molta attenzione a quella che sarà la posizione dell'altra grande forza presente in Parlamento: il Movimento Cinque Stelle. Vi ho dedicato in questi mesi un grado di attenzione che non ho mai nascosto, un atteggiamento di apertura e un tentativo di comprensione. Mi sono fermato la notte in Parlamento durante l'ostruzionismo e quando "occuparono" l'aula di Montecitorio. Ho tentato di capire come si potesse costruire qualcosa di positivo con questa grande componente politica che ha raccolto il voto di milioni di cittadini, raccogliendone il disagio, l'incazzatura e la disillusione e sono preoccupato perché sembra che sia in corso un processo di degenerazione in cui la violenza verbale, l'aggressione, il tentativo continuo di denigrare gli altri sia la principale chiave di tutti gli interventi che i sapienti collaboratori scrivono ai colleghi del Cinque Stelle.  In passato chi ha creduto che il sistema non potesse essere riformato ha trovato sbocco nell'eversione e nella lotta armata e sono state scritte le pagine più buie della notte della Repubblica.

Oggi sentiamo echi analoghi provenire dalle file del Movimento e su questo occorre vigilare con attenzione, con intelligenza e provare a spiegare a tutte le persone di buona volontà di questo Movimento, impegnate ad ogni livello, che dovrebbe essere un'attenzione soprattutto loro quella di diventare, di essere portatori di speranza e non portatori di disperazione. a noi rimane il compito, arduo, di raccogliere quelle istanze di cambiamento, trasparenza, innovazione delle forme della rappresentanza, e rispondere nel solo modo possibile, con azioni concrete. Solo se riusciremo a dimostrare che l'azione di governo purché risultati, che migliorano le condizioni di vita, che riparte l'economia, si spostano le priorità, si modificano e rinnovano le istituzioni, solo così sapremo raccogliere il senso profondo del voto al Movimento è riconquistato, con risultati concreti.

Grandi Maestri

Oggi il Senato con un breve discorso del Presidente Grha fatto gli auguri al collega senatore Sergio Zavoli per il suo 90° compleanno. Ho appena compiuto 36 anni, penso che l'incontro tra le generazioni e il riconoscimento di maestri sia un valore in un'epoca in cui tra le tante mode spicca anche il giovanilismo. Maestro di giornalismo, scrittore, poeta, Zavoli è stato ricordato per il suo lavoro televisivo, trasmissioni in cui la complessità viene resa accessibile anche al grande pubblico, ma mai banalizzata, dove pensiero e discernimento diventano coscienza e consapevolezza con l'obiettivo di non offrire verità precostituite all'ascoltatore, ma di suscitare in lui la riflessione e il pensiero critico che sono le basi di una vera e piena informazione.
Zavoli in questo rappresenta un'epoca che mai come oggi pare lontana. Non sono facile alla nostalgia, non è questo il punto. Ma quanto bisogno avremmo di una Politica che torni ad essere Cultura. Di informazione che dia strumenti per comprendere. Zavoli sostiene che una delle fragilità maggiori del nostro tempo è confondere il pluralismo con la sommatoria delle faziosità. Quanto è vero. La tutela dei beni culturali, la promozione della cultura in tutte le sue forme, la salvaguardia della memoria storica, la valorizzazione professionale dei talenti giovanili sono gli impegni in questi anni della sua attività di parlamentare. Il suo impegno politico si colloca perfettamente lungo il suo percorso professionale e di vita, perché la cultura non è mai un'avventura del singolo, ma sempre una strada comune da percorrere. Cultura e politica alimentano e forgiano la comunità. La politica, come scriveva don Milani, «è uscirne insieme». Mi ha colpito, nelle parole del Presidente Grasso, l'accostamento di Zavoli con il famoso scritto di Vittorio Emanuele Orlando, «Il parlare in Parlamento», che rispetto all'istituzione parlamentare affermava: «Non possiamo non sentirci inferiori, tutti, alla nobiltà di esso. Tutti dobbiamo sentire che non ne siamo abbastanza degni. Ma a questa inferiorità possiamo in parte riparare con un amore intenso ed una devozione assoluta». Molti oggi farebbero bene a rileggerselo.

Incubi di una notte di mezza estate

L'ostruzionismo è una vecchia pratica della politica con cui si cerca di giocare nelle pieghe delle regole che tutelano il diritto delle opposizione per rendere difficile alla maggioranza approvare un provvedimento. Di solito si usa per trattare e ottenere qualche modifica ritenuta necessaria. Si tratta di un comportamento piuttosto violento. Perché in democrazia una maggioranza, piaccia o non piaccia, ha il dovere ancor più del diritto di poter realizzare i suoi provvedimenti, e su questi essere misurata e giudicata. Perché allora questa scelta? Viene stigmatizzato l'uso del decreto, che è procedura d'urgenza. I decreti in discussione hanno la finalità di provare a rilanciare l'economia. Possono essere sbagliati, possono essere inefficaci, lo vedremo. Ma si può davvero sostenere che non ci sia carattere d'urgenza per il rilancio dell'economia? Dopo aver sostenuto che questo Governo rinvia e tira a campare oggi lo si attacca perchè starebbe accelerando troppo, magari proprio su quelle riforme su cui si hanno certamente opinioni differenti, ma che è sotto l'occhio di tutti siano necessarie, e con il perverso risultato di bloccare anche i lavori delle Commissioni, quelle per la cui accelerata attivazione gli stessi si erano stracciati le vesti. La scelta dell'ostruzionismo è sorprendente, per me, se assunta proprio da chi era arrivato in quest'Aula volendo rappresentare un cambiamento totale di approccio rispetto al passato. Singoli cittadini avevano detto di essere, senza ideologia politica, che volevano ottenere risultati concreti da qualunque parte le proposte provenissero.

Sono sinceramente deluso. Nei loro primi cento giorni di vita parlamentare, i colleghi M5S hanno rispolverato molte tradizionalissime pratiche di una politica che non ha prodotto gran che di buono in passato. Giustizialismo, violenza verbale, gesti plateali, cori e applausi da stadio, l'idea, per nulla originale, di inasprire le pene, pilastro di una cultura proibizionista che ha già fatto troppi danni. Tutto questo a mio parere è strettamente connesso ad un concetto originario: "noi non voteremo mai alcuna fiducia". Secondo me il nodo sta lì. Senza un po' di fiducia nella vita non si combina nulla. Non si sale su un bus per paura che l'autista non sappia guidare. Non si mandano i figli a scuola per paura degli insegnanti. Non si mangia nulla per paura di essere avvelenati. Un giorno poi si smette di respirare, temendo che l'aria sia avvelenata. E dopo aver ridotto, se stessi e gli altri, alla totale paralisi, si soccombe. Questo paradosso, che ho voluto portare all'estremo, è la forma mentale dominante. Certo tutto questo ha delle cause nei comportamenti gravi che in passato hanno dato motivi per diffidare, lo so benissimo. Ma nel consesso civile, nella comunità, senza un po' di fiducia nell'altro non si va davvero da nessuna parte.

Se a questo si associa un malcelato desiderio di annullare l'altro, con insulti, con violenza verbale, con immagini apocalittiche, e con un modo di esprimersi che non dice mai "noi la pensiamo così" ma "le cose stanno così". Le ragioni dell'altro vengono disconosciute, tacciate di secondi fini, di interessi, di malaffare. Mi spiace dirlo, moltissimo, ma chi usa certe immagini, certa violenza, chi veicola l'idea che la politica si fa solo i "cazzi suoi", che è assente, che vive di privilegi, che se ne frega di chi soffre, è moralmente responsabile della violenza che poi qualcuno mette in atto davvero, credendo che davvero le cose stiano così. La scelta di questi miei colleghi, cui ho voluto e continuo a voler dare fiducia, è inutile, dannosa e pericolosa. Rinuncia a ottenere qualche risultato e si attesta sulla propaganda, vuol dimostrare che la politica non serve a niente, come qualcuno scrive da anni, purtroppo. Chi è consapevole di questa strategia, va combattuto duramente. La democrazia è cosa delicata che va difesa con amore e con tenacia anche per chi la pensa diversamente da noi. Chi invece si rende involontariamente complice di questa strategia ci rifletta, con serenità, ma si lasci almeno insinuare dal dubbio.

p.s. È ormai una moda diffondere foto dei colleghi in momenti di stanchezza, difficoltà fisica, o mostrare quando non ci sono. Ne ho anch'io diverse. Ho anche contato presenze e assenze di colleghi M5S. Non le diffonderò. Non voglio contribuire al gioco al massacro. Chi vuol mostrare i "fatti" estrapolati dal contesto, mostra una violenza intrinseca che nella storia ha sempre prodotto risultati pericolosi.

Una sfida che val la pena di tentare

Assemblea dei Deputati PD con il Presidente del Consiglio Enrico Letta, ore 21 del 24 luglio.

Intanto che il Presidente del Consiglio discuta con i deputati forse sarebbe normale in un altro Paese, ma è anomalo e da sottolineare positivamente nel nostro. Un Presidente che spiega, propone, ascolta .... Vi assicuro una felice anomalia.

Poi i temi. Ci sono tutti. Il senso di questo difficile cammino. Concretezza. Gli interventi già realizzati sul lavoro, sull'occupazione giovanile e quelli in cantiere. Il lavoro svolto in Europa per un'inversione di rotta sul fronte dello sviluppo rispetto al solo rigore. Gli impegni per riforme possibili, che restituiscano a questo Paese la capacità di decidere davvero.

Costruire il PD, davvero, per dargli la capacità di essere ancora più utile a questo Paese.

Scuola e Cultura come priorità. E un obiettivo, la legge di bilancio, che sarà radicalmente diversa da quelle passate.

Una bella sfida che val la pena di affrontare tutta e a viso aperto. E come sarebbe utile di parlare più di questi argomenti. Anche su questo, sulla scelta dei temi in agenda, io ce la metterò tutta.

Visto da Nord. Contributo aperto per il congresso del Partito Democratico

Il progetto politico del Partito Democratico, la sua visione ed il suo disegno rispondono ad un’esigenza reale del Paese. Questa convinzione nasce dall’esito di queste settimane difficili e dagli avvenimenti che hanno messo a rischio la sopravvivenza stessa del nostro partito e ci hanno consegnato, nonostante tutto, degli assetti istituzionali e di governo di cui siamo e vogliamo essere protagonisti, attori fondamentali e determinanti per il futuro del Paese, consapevoli dunque di non poter tornare indietro e di dover intraprendere un lavoro politico e intellettuale che porti a compimento il progetto che da anni ormai stiamo coltivando.

La convinzione che il Partito Democratico e non altro (né più né meno) sia una risposta coerente ed efficace alle domande che ci pone la realtà attuale è ancora più forte nel contesto lombardo, dove ogni passo indietro, ogni richiamo ad ideologie ed esperienze condannerebbe ancor di più il campo progressista ad una funzione di testimonianza. Perché il cardine del progetto del Partito Democratico, il suo tratto saliente, è proprio l’idea della politica intesa come capacità di incidere sulle trasformazioni, di dare risposte, e non di porsi come voce a testimonianza di una visione che però nulla produce nella società.

Se il PD in Lombardia vince e governa sul piano amministrativo e non riesce a trasferire questo esito sul piano politico è perché, a nostro parere, i cittadini della Lombardia non si riconoscono nell’immagine del centrosinistra nazionale che fino ad oggi è emersa.

Attribuiscono a questo campo una cultura troppo statalista, una rappresentazione del lavoro troppo limitata al lavoro dipendente, un’eccessiva difesa dello status quo, una scarsa propensione al dinamismo. Il fatto che questo sia meno vero di quanto appaia non risolve il problema. In politica non basta avere ragione, occorre che qualcuno te la riconosca. Ora noi crediamo che la ricetta lombarda possa contribuire di più alla proposta del centrosinistra per il Paese se dentro il congresso che sta per iniziare essa risultasse più autonoma, maggiormente svincolata dalle dinamiche correntizie nazionali, sia nei contenuti sia nelle modalità di selezione dei gruppi dirigenti.

Serve una maggiore cultura delle autonomie locali, che coniughi certezza delle risorse e responsabilità, capace di incidere di più nelle scelte del Governo nazionale anche in forza di un peso maggiore degli amministratori locali nelle scelte del partito. Un’idea del lavoro che rappresenti tutti i ceti produttivi, convinti come siamo che la dicotomia dell’oggi non è tra datori di lavoro e dipendenti ma tra chi “produce” e chi no.

Occorre un nuovo patto fiscale che tenda la mano soprattutto a chi investe e produce, un piano per la manifattura che sappia gurdare ai prossimi vent’anni, una riforma del welfare che sia di contrasto alle nuove povertà e di promozione delle opportunità. Occorre qualificare la spesa pubblica e snellire burocrazia.

Bisogna sostenere lo sviluppo di una terza via tra statalismo, tra il tutto pubblico, e l’innamoramento del privato che veda, soprattutto per i beni comuni, quel pieno protagonismo dell’apporto del terzo settore, del volontariato, del no profit, di chi agisce con spirito di comunità. Perché è pubblico ciò che agisce con senso di comunità indipendentemente da quale sia la proprietà.

Oggi la sfida è tra un’idea consumistica della società, che investe tanto il piano personale, sociale, che quello economico, e una nuova idea comunitaria che rimetta al centro i legami di comunità, di solidarietà e riparta dalla ricostruzione del senso civico.

Non si parte però da zero e, soprattutto in Lombardia, occorre valorizzare alcuni elementi costruiti con pazienza, con fatica e con coraggio nel primo tratto di strada, ossia un forte rinnovamento della classe dirigente, un patrimonio di amministratori locali da cui occorre ripartire e che, non casualmente, dopo la recente tornata amministrativa, raggiungono dimensioni mai toccate, permettendo di affermare che il PD governa in Lombardia, il progetto del Patto Civico come orizzonte originale e solido per il futuro che rivendichiamo cioè denso di significato a livello locale e regionale e da esportare sul piano nazionale.

Certo, è necessario riconoscere anche i limiti e le carenze di quanto fino ad oggi sviluppato, soprattutto rispetto alle aspettative che questo progetto politico aveva suscitato e che tuttora suscita, confermando ancor di più la bontà degli intenti su cui si fonda. Per questo occorre ripartire con un nuovo slancio, dando risposte concrete ad alcune problematiche e traendo conseguenze dai limiti e dagli errori.

Dobbiamo affrontare con nettezza il problema della rappresentanza, esaminando i limiti delle forme attuali di rappresentanza nel complesso del sistema, non solo in campo strettamente politico.

I mutamenti profondi della struttura sociale e antropologica, l’atomizzazione della società necessitano di risposte nuove; occorre affrontare e superare il concetto tradizionale di identità poiché la stessa definizione di identità è in discussione in una società composita di identità plurali in cui né il lavoro che si svolge, né il luogo dove si è nati o si vive e neppure le relazioni con gli altri rappresentano più una definizione stabile. Il tema del volontariato e del suo rapporto con il cambiamento dello stato sociale e col mutamento demografico, l’approccio alla sussidiarietà, la definizione ed il confine di che cosa è pubblico, il personalismo, sono tutti terreni di sfida in cui occorre mettere in gioco nuovi paradigmi e definire un profilo ideale e valoriale.

Occorre ripensare al partito e alla sua struttura, costruire classe dirigente diffusa, ricreare luoghi di approfondimento e di studio, appropriarsi di un pensiero critico sugli avvenimenti e sulla loro lettura. Una rialfabetizzazione democratica di massa. Definire i luoghi di discussione e confronto e di decisione e, con maggior nettezza, definire chi decide cosa, perché chi è chiamato a decidere decida davvero e se ne assuma la responsabilità.

In questo senso occorre liberare le energie presenti sul territorio e fornire gli strumenti per far emergere lo specifico lombardo per il progetto del Paese e per mettere in campo idee e sperimentazioni anche delle forme di partecipazione.

Serve dunque contribuire ad un congresso che è già aperto e combattere derive personalistiche e narcisistiche, per spostare il baricentro dal “chi” al “cosa” e al “come”. Dal voler essere al voler fare.

La sfida che abbiamo di fronte è questa.

Il prossimo congresso del PD sarà un’occasione decisiva per rilanciare la funzione del partito, oggi nella fase del Governo di servizio guidato da Enrico Letta, domani nella preparazione di una nuova stagione nella quale dovremo saper rappresentare una credibile proposta di cambiamento agli occhi degli italiani. Dev’essere un congresso capace di chiarire la proposta politica che vogliamo presentare al Paese per una nuova idea di crescita e di sviluppo e la forma attraverso la quale organizzare e dar voce alle diverse forme di protagonismo e di impegno che emergono nella società. Crisi economica e crisi della rappresentanza sono infatti i terreni sui quali occorre saper reinventarci per vincere la sfida dell’innovazione.

Crediamo infine ad un partito che, nel quadro della propria funzione nazionale, sappia riconoscere e valorizzare il ruolo, la specificità e l’autonomia del territori.  Siamo perciò convinti che i congressi di circolo, provinciali e  quello regionale debbano poter svolgersi secondo un confronto che metta al centro i problemi di ciascun territorio e le risposte che in termini di contenuti, alleanze, sinergie si ritengono utili per rispondere in modo vincente a quelle questioni.  Abbiamo infatti misurato come in questi anni le regole congressuali non hanno facilitato questa discussione, ma l’abbiano costretta dentro dinamiche che dal livello nazionale hanno vincolato fin troppo il dibattito. Abbiamo invece bisogno di un congresso libero che sappia affrontare una discussione capace di coinvolgere le esperienze del civismo così come la buone pratiche e la cultura di governo di tanti amministratori locali.

Noi vogliamo provarci.

Roberto Rampi, Matteo Rossi, Mauro Soldati, Savina Marelli, Gabriele Riva, Gian Mario Fragomeli, Bruno Ceccarelli, Emiliano Cacioppo, Massimiliano Fontana, Giuseppe Bufalino, Michele Bondoni.

Sei libri, sei film, sei canzoni, sei scelte per conoscerci meglio.

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    Verità e metodo
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    Il piccolo principe
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    Il nome della rosa
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    Il gioco degli specchi
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    2001 odissea nello spazio
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