Da Valore cultura all'Art Bonus. Un cambio di passo per il Paese

Sabato 25 ottobre si terrà a Monza un importante appuntamento, un momento di illustrazione degli interventi nel campo delle politiche culturali e di confronto sulle prossime priorità. Ci ho lavorato molto in questi mesi e ho raccolto alcuni dei principali operatori del settore che ho conosciuto e con cui ho costruito un rapporto nell'ultimo anno. Considero quello culturale un settore strategico per lo sviluppo del Paese e mi fa molto piacere essere riuscito a realizzare questo evento qui, nel nostro territorio.

Quando c'era Tortorella

Non suoni irrispettoso. Ma pensandoci e ripensandoci a me viene in mente E.T., film bellissimo d'altro canto. C'è la stessa distanza siderale (aggettivo scelto non a caso) tra il mondo raccontato sabato da Aldo Tortorella e il nostro. Da ogni punto di vista. Lo dico senza alcuna nostalgia, che non ho neppure gli anni per avere, e con il pensiero e l'azione tutti rivolti al futuro. E del resto è Tortorella stesso per primo a dirlo. Aggiungendo che però se c'è ancora tanto interesse per Berlinguer a trent'anni dalla morte e soprattutto se il suo nome è legato ad alcuni pensieri, ad alcuni concetti, allora forse un qualche motivo di attualità ci deve pur essere. Ed è sempre lui a spingerci ad usare questi elementi per caricarci noi la fatica di provare a mettere in campo nuovi pensieri, possibilmente di qualche durata e lunghezza, senza farci trascinare dal passato, e trarre qualche elemento serio di riflessione per il mondo nuovo in cui abitiamo.
Io penso che ce ne siano molti. Soprattutto dai due "incontri" più fervidi che l'ultimo Berlinguer aveva sviluppato sul piano culturale e politico. Quello con il pensiero ecologista e con le nascenti teorie economiche nel campo della sostenibilità e quello con il femminismo della differenza. Unite a un aspetto di metodo, che è forma e sostanza insieme: una Politica che sappia preoccuparsi meno della dichiarazione del momento, del dibattito contingente, è più di mettere in campo idee potenti, capaci di smuovere, di cambiare gli equilibri, i rapporti di forza. Con l'ambizione di coinvolgere tutti nel cambiamento, e di realizzare discussioni vere, libere, profonde. Ecco su questi spunti io credo occorra sviluppare, continuare, un lavoro. Favorendo spazi di confronto vero, ponendo temi e questioni. E portando l'attualità di un confronto. Perché se anche gli "assetti strutturali" di quel mondo non sono più gli stessi, se è saltato il duopolio non solo nel campo delle potenze in campo (e le drammatiche vicende internazionali ce lo dimostrano ogni giorno di più) ma sul piano stesso del sogno e della speranza, delle contrapposte utopie che quei modi rappresentavano, allora è urgente un rinnovamento profondo che sappia fornire non solo risposte pratiche quanto mai urgenti ma una cornice, un progetto in cui inserirle.
Ecco allora che ci torna utile quell'esigenza profonda di una politica diversa dalla dominante di tutta la cultura occidentale che ne stressa gli elementi di eccessivo realismo che diventa cinismo, di amoralità, e che produce come reazione il mostro del moralismo e dell'antipolitica.
E prima che sian definitive le conseguenze di una lotta che rovini entrambe le parti in lotta, come da sempre più elementi mi sembra stia accadendo, occorre costruire quel patto alto che è la chiave di ogni autentica democrazia, che nel riconoscere l'esistenza di istanze diverse, nel promuovere il pluralismo non può che dare alla funzione del compromesso non il senso povero di un accordo di risulta, ma il valore alto del lavoro per gli interessi generali. Passa di qui un'idea di Politica che produce risultati e produce idee. Non semplicemente dichiarazioni, attacchi e insulti. E quindi riconosce l'altro come altro da sè, misura i reali rapporti di forza, costruisce soluzioni. Altrimenti la Politica non è Politica e senza Politica non c'è democrazia. Questi i semi lasciati nel terreno, a mio modo di vedere, nell'incontro di sabato pomeriggio.
Sta a noi saperli coltivare, innaffiare, averne cura. E provare a farli germogliare.

Un modello di sviluppo basato sulla cultura e sulla sua diffusione.

Nel 2003 fresco di laurea ho partecipato alla nascita di una società che si occupava di valorizzazione dei beni culturali.
Una società particolare perché nasceva da un consorzio di imprese di restauro che si univano per lavorare online e mettere insieme competenze, offrire servizi e formazione utilizzando le potenzialità della rete e del commercio elettronico a quei tempi piuttosto sperimentali.
Allora sentii parlare per la prima volta della scuola di restauro di Botticino da quei professionisti delle cultura, da quelle restauratrici lì specializzatesi e che ci venivano richieste in tutto il mondo.
Venerdì sono stato per la prima volta in quella scuola, con il sottosegretario ai beni culturali. Ho visto con i miei occhi il lavoro che permette a dei ragazzi di imparare a mettere le mani su un crocifisso ligneo del duecento, su arazzi e tele. Una realtà che ad oggi ha preparato oltre 500 restauratori.
Poco prima avevo visto la passione con cui i Comuni, insieme alla imprese del territorio, portano avanti il primo centro professionale d'Italia, la scuola Vantini di Rezzato. Il 95% di quei ragazzi trova lavoro ancor prima della fine del corso e nei primi due anni quel lavoro diventa a tempo determinato per l'80% dei casi. E questo dipende dall'alto livello di specializzazione che unisce tecnologie, meccanica e lavorazione con connotati artigianali ed artistici.
A Brescia, invece, abbiamo le potenzialità di una città che negli anni ha saputo cambiare la sua connotazione e riscoprire la centralità della sua storia. Con un polo museale straordinario, il racconto della trasformazione e delle presenze romane e preromane, passando per i Longobardi e fino alla modernità. Devo dire che ho ritrovato molto del percorso costruito a Vimercate come vicesindaco e assessore alla cultura.
La serata alla festa regionale si è concentrata sul turismo. L'ascolto degli operatori mette in luce i punti di forza di un settore che deve diventare trainante, non marginale, e che per farlo deve trasformarsi, qualificarsi, facendo della sostenibilità, del rapporto con l'ambiente e il paesaggio e della loro tutela e riqualificazione, i punti chiave.
Il lago di Garda ha ogni anno 9 milioni di visitatori, contro i 10 della Sardegna, per dire. Il sito archeologico di Sirmione conta 500 mila ingressi l'anno. Il Polo museale di Santa Giulia 120 mila, le incisioni rupestri della Val Camonica 45 mila, in gran parte legate a visite scolastiche. Una diversa distribuzione di queste presenze significa una miglior azione culturale e una miglior ricaduta economica insieme. Un turismo a maggior vocazione culturale può essere distribuito meglio su tutto l'arco dell'anno invece che concentrato nelle poche settimane di bel tempo, aumenta la durata, si rivolge a una platea più ampia.
Ancora ieri mattina a Pavia, nel tentavo di completare la revisione normativa che riguarda gli istituti musicali parificati, l'incontro con il Comune e la visita alle poco conosciute meraviglie della Città ha messo in luce potenzialità attrattive e professioni, nonché l'interesse di investitori stranieri sulla musica a Pavia, provenienti dalla Cina. Mentre sul Garda l'attrattiva è quella degli investimenti Coreani.
Sono tutti elementi contenuti nella legge su cultura e turismo. Ma ben al di là del singolo provvedimento sono elementi che mostrano come nell'Italia di oggi, nel pieno della crisi che ancora morde, si vedono le strade di un modello di rinascita, le energie, il capitale umano, la passione. E si capisce la connessione tra crescita culturale e rinascita anche, non solo, economica. Senza mai dimenticare che il capitale umano è di certo il fattore competitivo principale, ma che lo sviluppo è prima di tutto diffusione culturale per gli elementi di consapevolezza e per gli strumenti di comprensione e gestione anche delle difficoltà che questo contiene.

Insomma esiste un modello di sviluppo non solo teorico, su cui lavorare e a cui guardare.

 

Un anno in Parlamento

Un anno fa entravo effettivamente in carica come deputato.
La mia presenza in aula risulta del 98,72 % il che mi classifica 13esimo su 630.
La presenza non è tutto e ci son mille motivi per cui altri colleghi hanno avuto impegni, incarichi e alcuni malattie. Quindi c'è anche una parte di casualità. Ma mi sono impegnato per questo risultato perché lo considero la base. Siamo stati eletti per fare un lavoro, quel lavoro. E quindi innanzitutto occorre esserci. Se puoi si aggiunge che delle 47 assenza su 3664 votazioni molte son frutto di errori di registrazione (che ho segnalato) posso dirmi soddisfatto, in un anno non ho mai mancato un solo giorno del lavoro d'Aula.
Ma non basta essere presenti. Ho presentato 100 disegni di legge, 30 interrogazioni, 142 emendamenti a disegni di legge. Sono intervenuto 21 volte in Aula.
Ho dato il mio contributo ai principali provvedimenti di questo anno su scuola, cultura, lavoro.
Sulla legge elettorale ho lavorato per migliorarla nella sua capacità di costruire rappresentanza.
Ho lavorato sui grandi temi del territorio che riguardano il lavoro, la metropolitana, le opportunità di sviluppo. Ho cercato di rispondere agli stimoli che molti mi hanno posto, alle richieste, di fare da tramite, informare, spiegare.
Mi sono sentito sempre libero di ragionare con la mia testa e di far valere la mia opinione, vincolato a chi mi ha scelto, votato e sostenuto e vincolato a produrre risultati e fare testimonianza.
Mi sembrava giusto tracciare un pur sintetico bilancio ....

Riflessioni a caldo, forse un po' sgradevoli.

Provo a dare una chiave di lettura, la mia, sul passaggio ala guida del  Governo Da Letta a Renzi. Sincera, franca, e quindi forse un po' sgradevole. Lo faccio seppure un po' contro voglia perché temo che il delirio di opinioni continue e su tutto, senza il tempo e la pazienza di riflettere, ragionare, stare a vedere come si evolvono le cose sia un nodo del problema.

Non ho sostenuto Matteo Renzi alle primarie dell'8 dicembre. Secondo me non aveva senso eleggere un candidato premier, ma un segretario, cosa che si sarebbe dovuta fare con il solo voto degli iscritti. Pensavo che Renzi dovesse fare il sindaco di Firenze e Letta il Presidente del Consiglio dei Ministri. Pensavo che il candidato premier lo si sarebbe dovuto scegliere come coalizione al momento di andare al voto. Ho sostenuto questa posizione in ogni modo, scrivendo, intervenendo, battendomi. Sempre pubblicamente e lealmente. Non la pensavano così in molti mi pare.

Ho sostenuto con convinzione il governo Letta. Per le qualità personali e politiche di Letta, di cui sono ancora più convinto in questi giorni. Ma soprattutto perché secondo me aveva un senso: noi avevamo e abbiamo bisogno di rimettere a posto il campo da gioco prima di riprendere la partita. La sfida, giusta, necessaria, democratica tra visioni diverse è praticabile con dati economici e tassi di tenuta civile e democratica che oggi non ci sono. Anche questo ho scritto, detto, sostenuto, senza, devo dire, vedere molto supporto.

Abbiamo scelto una strada diversa. Dico "abbiamo" perché ognuno di noi ha le proprie idee per cui si batte, ma bisogna saper accettare quali sono quelle prevalenti, è un fondamento democratico. Primarie, aperte, che implicano un mandato popolare di guida e di governo, sulla base del contenuto politico della necessità di una scossa, un'accelerazione, che bisognava farla finita con la presunta lentezza di Letta.

Quello che è successo poi è la logica conseguenza di quelle primarie e di quell'impostazione. Anche lo stile, il modo, era tutto ben presente.  Sarà poco politico dirlo ma mi sembra un po' ipocrita la reazione di tutti coloro che hanno contribuito culturalmente e politicamente a questo risultato e che oggi si sorprendono, si scandalizzano, si stracciano le vesti.

Dico tutto questo senza astio. E con la sincera speranza che Renzi riesca, con l'impegno totale e personale, a contribuire positivamente soprattutto negli ambiti in cui ritengo sia prioritario: sulle importanti azioni che si possono mettere in campo di politiche culturali ed economia della cultura, che non sono orpelli ma elementi strategici di una ripartenza, e sul lavoro, in particolare sulle crisi di un settore tecnologico le cui speranze per lavoratori e per lo sviluppo del Paese non sono e non devono essere perdute. Mettendocela tutta perché da questa situazione si riesca a far uscire il meglio, perché si diano risposte ai cittadini, alle persone in difficoltà, ai nostri territori.

Sei libri, sei film, sei canzoni, sei scelte per conoscerci meglio.

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