Solo il multiculturalismo ci salverà
La sera del 13 novembre a Parigi 132 vite sono state spezzate, spente, per sempre dalla violenza omicida di un gruppo di terroristi.
Più che in ogni episodio precedente quello che ha colpito ognuno di noi è l'assoluta casualità degli obiettivi colpiti. Non luoghi simbolici. Nemmeno snodi cruciali, come in passato.
Quelle donne e quegli uomini, quei ragazzi e quelle ragazze, trucidati in una sera d'autunno a Parigi siamo noi, ognuno di noi.
Per questo sarebbe folle dire che non abbiamo paura.
Ma dopo due settimane dai fatti di Parigi, si iniziano a distinguere le diverse strategie per reagire alla paura che ci pervade.
Ci sono risposte concrete, pratiche. Che passano dalla legge antiterrorismo che abbiamo votato nella primavera scorsa e che è quella che ha permesso, tra l'altro, di controllare, monitorare anche nelle loro azioni in rete ed espellere se necessario quei soggetti pericolosi prima che diventassero una concreta minaccia.
Ci sono le risorse, crescenti, per la sicurezza, le forze dell'ordine. E insieme a queste però quelle per la cultura, per gli interventi sociali.
Ed è proprio a partire da qui che si delinea una strategia che individua nel disagio, nella perdita di senso, di speranza, nella mancata integrazione, nell'abbandono, nella povertà, economica ma anche e forse di più culturale e civile, le cause e i sintomi che rendono alcuni giovani ragazzi e ragazze preda degli artefici del terrore, di individui senza scrupoli che per conquistare il potere nel loro territorio sono pronti a tutto, a convincere con l'inganno giovani europei ad uccidere altri giovani europei in una sera di venerdì.
Lo ha detto Papa Bergoglio nel suo viaggio in Africa, il terrorismo nasce dalla povertà, il desiderio di potere, la violenza assassina viene nascosta sotto l'insegna di una religione. Ma uccidere in nome di Dio è bestemmia. Lo stesso Bergoglio che aveva parlato, profeticamente, di una terza guerra mondiale diffusa.
In questi giorni in molti hanno raccontato di una presunta debolezza identitaria che ci renderebbe fragili di fronte a questi fanatici macellai. C'è una campagna culturale che prosegue da anni per spingerci in questa direzione.
Spero si riesca a capire invece che l'idea di una differenza insormontabile, di un "noi" e un "loro", priva peraltro di alcun fondamento storico e culturale, è esattamente quella che sta alla base dell'ideologia che arma giovani assassini cresciuti nelle nostre disagiate periferie a cui è stata raccontata un'identità di purezza fatta di odio per chi sarebbe altro da loro.
Non è così. Le nostre storie individuali e nazionali sono storie di incontri, di commistioni. Siamo identità in trasformazione. Siamo mischiati tutti insieme. Lo stato nazionale, l'identità di religione, lingua e altare è un'invenzione recente che ha iniziato subito a produrre morti e lutti e continua a farlo tuttora.
A noi serve invece rafforzare la percezione del nostro essere mischiati, non indefiniti ma plurali. Più si capirà che non esiste un noi e un loro e meno potranno insegnare a "loro" che devono uccidere "noi" visto che noi siamo loro.
Quel venerdì sera, tornando da Roma, arrivato ho incontrato tre amiche. Tre donne di tre generazioni diverse. Una nonna, una mamma e una nipote, una bimba di 10 anni. Andavano a prendere il treno notturno per Parigi.
Ho raccontato a questa bimba la meraviglia che l'aspettava. La mia prima Parigi di bambino di 8 anni. La mousse au chocolat alla tour Eiffel. Le ho raccontato un sogno che di li a poco avrebbe vissuto. Ho riportato la mia mente a Parigi e un attimo sono stato trasportato, di forza, come tutti noi, a Parigi dalla violenza brutale dei terroristi.
Cosa avrà saputo quella bambina? Cosa avrà pensato?
Ma soprattutto: noi che mondo le vogliamo raccontare?
Dobbiamo trovare la forza morale e culturale di coltivare quel sogno.
Tornerà a Parigi. Mangerà la mousse alla tour Eiffel.
Nella storia dell'uomo molte volte la violenza sembrava dominare ogni spazio, anche quello delle nostre menti. Ogni volta è stata una violenza nuova. Più impensabile. Più cruenta. Più inumana. Ma l'umanità ha prevalso.
La Memoria ci può dare la forza. E la carenza di conoscenza e di memoria ci getta nello sgomento. Ci impedisce di ricordare nel buio la strada per arrivare all'interruttore ed accendere la luce. Ma lo faremo. Ce la faremo.
Lo dobbiamo a quella bambina. Lo dobbiamo a chi è morto in una dolce sera d'autunno a Parigi. Pensiamoci quando scriviamo, quando parliamo, quando pensiamo a cosa fare. Non è buonismo. È umanesimo.
Dobbiamo lavorare sull'odio che è in ognuno di noi. L'odio è un richiamo facile. È facile unire le persone contro qualcosa e contro qualcuno. È facile individuare il nemico, alzare il dito indice, accusare. È difficile costruire, tendere la mano.
Su tutti una insuperabile lezione ce l'hanno consegnata i genitori di Valeria Solesin, trasformando così il loro immenso dolore in un gesto di straordinaria civiltà, in un dono prezioso che ci impegna. Ognuno è ciascuno.
Abbiamo imparato che le strutture rigide non resistono agli urti, si spezzano, crollano e spesso feriscono e uccidono con le loro macerie. Mentre sono le strutture elastiche, flessibili, permeabili che resistono.
Costruiamo ponti invece di muri, e guardiamo al nostro passato, al meticciato che è in ognuno di noi, perché lì alberga il nostro futuro.